Questo articolo è stato pubblicato su Passaggi & Sconfini (Graffio Editore, n°4/2019, pp. 38-41) ed ha ottenuto il terzo posto al Premio letterario internazionale Andrea Testore – Plinio Martini “Salviamo la montagna” 2020, sezione giornalismo.
Fotografie: Ente Parchi Alpi Cozie
Una casetta di legno a 1700 metri d’altitudine, l’ombra dei larici ed una vista spettacolare che spazia dal monte Chaberton al Seguret, le vette più iconiche dell’Alta Valle di Susa. Ah, la vita da blogger! – direte voi immaginando un’estate di ozio letterario! Quella che mi aspetta è invece una stagione in servizio all’area attrezzata “Ser Blanc”, la porta del Parco naturale Gran Bosco di Salbertrand. Due mesi di lavoro immersa nel verde, un’occasione unica per straordinarie osservazioni. Caprioli ed aquile? Anche.
La mia curiosità è rivolta alla fauna…umana. Da qualche anno ho creato un blog, Verticales.it, per capire quale sia l’immagine mediatica della montagna, come viene riprodotto l’ambiente alpino e come queste rappresentazioni influenzino la nostra frequentazione delle Alpi. Ecco un bel test di prova sul campo.
La natura è sinonimo di libertà. Outdoor fa sempre più coppia con wilderness. Ma come? Il visitatore arriva e viene accolto da un cartello carico di divieti e prescrizioni: spesso la reazione è di sorpresa; altre volte è di irritazione. In tutti i casi si assiste ad un cortocircuito d interpretazione che rivela uno dei punti critici nell’idea di parco. Nell’immaginario collettivo l’area naturale è un ambiente finalizzato alla fruizione dell’uomo: una riserva green dove il verde assume importanza non in sé, ma per ciò che ci permette di fare (una passeggiata nel fresco del bosco od una gita adrenalinica in mountain bike). Ci sembra naturale che la natura sia a nostro servizio. E se non fosse così?
È quello che il rinascente movimento ambientalista sta cercando di diffondere a livello mediatico per riconsiderare la nostra posizione nell’economia delle cose. È quello che, da sempre, il Parco si propone attraverso la sua attività quotidiana e la sua azione educativa. È quello che, nel mio piccolo, ho fatto anch’io parlando con centinaia di persone che sono transitate alla casetta di Ser Blanc.
LA NATURA AL CENTRO
Tra le finalità del Parco la principale è la preservazione del territorio in sé, indipendentemente dalla sua frequentazione o dal suo utilizzo. Facile no? Un messaggio semplice e diretto: ispira bellezza e nobiltà sul piano teorico. Sul piano pratico, invece, diventa un concetto spigoloso soprattutto quando cozza con i nostri agi. Perché dovrei rinunciare a gustarmi una bella grigliata? Oppure abbandonare la comodità di raggiungere il rifugio nel cuore del bosco in motocicletta?
La grande sfida del Parco è quella di vigilare per la tutela della fauna e della flora coinvolgendo in questo obiettivo tutti coloro che si trovano a contatto con l’habitat: non solo i visitatori, ma anche i proprietari e gli operatori economici. Come? Facendo collimare l’idea collettiva di Parco naturale con quello che in realtà esso è.
I DIVIETI NON SONO NEGAZIONI DELLA LIBERTA’
Maglietta del parco e sorriso: è così che accolgo l’utenza alla casetta. Molti turisti salgono dalla città ed abbandonano lo smog, il traffico, lo stress, ma non l’attitudine urbana ad essere consumatori di servizi: chiedo, pago, ottengo. Il Parco invece è un ambiente che non offre prodotti, ma richiede attenzione. È quindi importante comunicare a tutti la fragilità dell’habitat e l’assoluta necessità di rispettarlo. Le restrizioni diventano così condizioni indispensabili per l’accesso al Parco: senza rispetto non vi è umanità, ma nemmeno natura.
Si tratta di un messaggio “forte” che può essere diffuso con la gentilezza. Anche quella mattina in cui ho sentito puzza di bruciato. E non era metaforico! Un gruppo di ragazzi stava apprestando un fuoco per la grigliata. “Che c’è di male? Dopo lo spegniamo!”. La combustione spesso continua sotto le ceneri e con il giusto vento – che in Val di Susa non manca mai – può generare l’innesco di un incendio. Mentre spiego rivolgo lo sguardo all’orizzonte ed indico un punto in direzione del fondovalle: “quello era il livello dei fumi, quando sono bruciati i boschi del Rocciamelone. Diecimila ettari, pari a quindicimila campi da calcio”. Un attimo di malinconia, ma subentra subito l’impellenza gastronomica: “Ma le salsicce dove lo cuociamo allora?”. All’esterno dell’area protetta sono presenti aree-barbecue dotate di sistemi di contenimento delle fiamme: i divieti non sono assoluti né punitivi, bensì sono mezzi per regolare condotte che – in certi casi – si rivelano pericolose o dannose.
RIPENSARE LO SPAZIO
“Scusi, quante ore impieghiamo per raggiungere il rifugio Arlaud?”. Ecco una degli interrogativi più ricorrenti della mia estate alla casetta. Il tempo, in uno spazio naturale, è relativo. Dipende dal grado di allenamento del camminatore e da tanti fattori variabili come, ad esempio, la conformazione del terreno che si percorre (un chilometro di fango scivoloso, un tratto di nevaio, un ghiaione). Ai visitatori indico la distanza in km, il dislivello e fornisco una casistica di tempi a seconda del target. Alcuni storcono il naso. Nello spazio urbano il navigatore sullo smartphone si esprime in intervalli di percorrenza la cui precisione lascia stupefatti: i satelliti individuano il traffico ed indicano le code e le attese ai semafori andando a predire l’orario di arrivo. Nel Parco, invece, non c’è fretta, né frenesia: lo spazio diventa l’orizzonte principale della nostra esperienza. Ci siamo abituati? Spesso i nostri sensi sono così assuefatti dalla dimensione cittadina che fatichiamo un po’ ad “acclimatarci”. Alle volte continuiamo ad applicare i nostri standard cittadini anche all’ambiente naturale.
Un bambino, stanco di camminare sulla terra battuta del sentiero, mi ha chiesto perché mai il “pavimento” fosse così sconnesso! “Che storia ti racconta una piastrella?”. Nessuna. Un fondo ben livellato sarà certamente più comodo, ma per nulla stimolante: il Parco è uno scrigno di biodiversità, milioni di pezzi unici, così straordinari ed autentici che nessun prodotto industriale potrà mai eguagliare.
IL LATO NASCOSTO DEL PARCO
“Perché non hai la divisa?”. In molti si sono stupiti nello scoprire che l’ente Parco dispone di personale, addetti, tecnici, operai, amministrativi, operatori culturali. Non ci sono soltanto i guardiaparco e soprattutto, non sono identificabili con le figure che i media ci propongono (dai telefilm, ai reality passando dal Ranger Smith dei cartoni animati). Ad una signora ho illustrato la struttura dell’ente, il suo funzionamento e tutto il complesso iter fatto di approvazione di bilanci, determine ed altri atti squisitamente burocratici. Incredula ha espresso perplessità: “A cosa servono? Tutte queste scartoffie? Il bosco va avanti da solo!”. La manutenzione e cura del territorio richiede risorse umane ed economiche. C’è poi la ricerca scientifica, i progetti in collaborazione con le Università, i censimenti faunistici, i campionamenti e le analisi. Tutto questo su un’area molto vasta.
NON SOLO NATURA
Il Parco è “naturale”, ma non solo. Tutelare il territorio significa anche preservare le testimonianze delle interazioni dell’uomo con l’ambiente: tracce storiche, culturali ed artistiche legate alla vita di montagna. Il solito allestimento museale della tradizione alpina? No, quello che consiglio ai visitatori è un tour che propone esperienze che riservano tante soprese. All’Ecomuseo di Salbertrand si scopre la grande storia di Colombano Romean che nel 1526 scavò, da solo, cinquecento metri di roccia ad oltre duemila metri di altitudine. A Villarfocchiardo è la pace solitaria che ci accoglie entro le mura della Certosa di Montebenedetto, un gioiello dell’architettura medievale che conserva ancora la struttura originale del XII secolo. Un visitatore è tornato a trovarmi: alla Casa “Alex Berton” di Pragelato ha scoperto le vicende della Repubblica degli Escarton che per quattrocento anni ha costituito un’inedita forma di autogoverno alpino. “Queste cose le dovrebbero insegnare a scuola!”. Il Parco è anche aula: non solo con le visite guidate aperte a tutti, ma anche con le attività didattiche dirette alle classi che ogni anno coinvolgono migliaia di ragazzi provenienti da tutto il Piemonte.
UNA NOTTE NEL PARCO
Zaino in spalla. Sempre più escursionisti dedicano le loro vacanze a trekking di più giorni, immersi nella natura, giorno e notte. Cala la sera e, anche alla casetta, il freddo è pungente. A ristorare i camminatori troviamo i rifugi non gestiti. La diffidenza iniziale svanisce all’apertura della porta: l’assenza del gestore non significa la mancanza di ospitalità. Le strutture Alpe Orsiera, Beth, Col Clapis e Lago Laus sono dotate di illuminazione, stufette, fornelletto, letti con coperte e stoviglie. Basta prenotare, ritirare le chiavi e godersi una notte nel silenzio, rispettando l’ambiente ed i successivi ospiti. Il mio consiglio? Contribuisci con un piccolo dono (ad esempio, una scatoletta di tonno od un pacco di biscotti) da lasciare a chi verrà.
Tutelare il territorio è preservare le risorse della Terra per donarle alle generazioni future. Non delegare questo compito ad altri. L’azione del Parco è più efficace se tutti ci impegniamo in prima persona, ogni giorno, anche nelle piccole azioni .
In uno dei più celebri discorsi del presidente americano viene proposta un’inversione di prospettiva: “non chiederti cosa può fare il tuo paese per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese”. Ecco un bel principio per diffondere l’idea di Parco che dovrebbe essere assunto da tutti i soggetti che valorizzano il territorio.
Chiudo la casetta, la stagione è finita ed io ho avuto l’occasione di parlare, informare, dialogare con centinaia di persone. A nessuna ho “venduto” il Parco né ho ammesso concessioni: non si tratta di affiliare clienti, incrementare le vendite, anteponendo il business all’etica. Sono felice che la mia estate sia trascorsa così e spero che le buone pratiche che le persone hanno recepito quassù si diffondano sempre più anche oltre i confini del Parco.